5. Che la caccia abbia inizio.


Decisamente fastidiosa, la curiosità. Ti spinge a fare cose che non avresti lontanamente concepito, e in cambio cosa ti dà? Una sicura perdita di tempo. Questo avrebbe potuto pensare un qualunque individuo con la testa ben piantata sulle spalle, ma un cacciatore di leggende come me sapeva bene che la posta in gioco era ben diversa. Pur nell'incertezza delle prime indagini, sentivo già l'aroma di qualcosa che valeva la pena raccontare.

Ragionavo su questo mentre al telefono aspettavo conferme dall'ufficio anagrafe di Montù Beccaria, minuscolo paesino dove il nostro Ernesto Pasquali ebbe modo di nascere nel 1883.
"Risultano solo pochi dati, signor..."
"Martucci, Andrea Martucci."
"Ecco, vede, abbiamo nome e cognome dei genitori, e...la professione del padre: medico"
"Nient'altro?"
"Nient'altro."

Ad una leggera smorfia di disappunto, seguì il pensiero che era pur sempre un inizio, benchè poco utile. Però forniva una precisa collocazione familiare: erano in pochi a potersi permettere studi universitari, all'epoca.

"Salve, sono Andrea Martucci, ehm...sono un ricercatore dell'università di Roma. La chiamavo per...-e questa volta stavo disturbando la Biblioteca Nazionale di Firenze-...per domandarle se fosse possibile avere una copia del libro di Giuseppe Gallico intitolato 'Torino di ieri', e nello specifico un capitolo preciso, quello su Ernesto Maria Pasquali"
"Attenda in linea"
Non feci in tempo a prepararmi psicologicamente che era ormai troppo tardi, stavo già ascoltando la musichetta dell'attesa telefonica.
Mio Dio, mi chiesi, ma perchè pensano che queste odiose melodie elettroniche dovrebbero allietare l'attesa di chi è in ascolto, anzichè condurre verso inesplorati universi di paranoia, come succedeva a me?
Quando l'agonia ebbe fine, una voce mi comunicò le modalità per ricevere le scansioni che mi interessavano via email.
Perfetto!
Nei giorni che seguirono vissi in simbiosi con la mia casella di posta elettronica. Controllavo prima di fare colazione, e dopo aver lavato la teiera, prima di lavarmi i denti e dopo essermi allacciato le scarpe, prima di uscire dall'università e appena dopo essere rientrato a casa, prima di andare a svolgere il mio entusiasmante lavoro part-time e part-money, e...insomma, avete capito come funzionava.
Ma al quarto giorno l'email arrivò, e in essa alcune pagine in allegato, che svelarono inequivocabilmente che non solo la biografia di Pasquali era stata a torto trascurata da tutti (tranne che dall'autore di quel capitolo, suo amico personale), ma che eravamo in presenza di una incredibile summa di elementi narrativamente esplosivi, riuniti in una vita fin troppo breve. Era il momento di fregarsi le mani, e assaporai in anticipo quello che la ricerca avrebbe confermato poi in molte altre occasioni: il cacciatore aveva trovato la sua leggenda.

4. Il mosaico dell'impazienza.


Sapete quando lividi scrosci di malumore si alternano a gelite folate di grigia vita su piccolo schermo? Ecco, è in quei momenti lì che il mio malinconico poeta interno apre il cofano delle ciglia e dà un'occhiata in cerca di ossigeno fresco. Si guarda intorno e mi suggerisce che forse è il caso di concentrarsi su qualcosa. Su qualunque cosa.

Ed eccomi qua. Io e il cinema muto torinese, ridotto in fotogrammi e citazioni dal tempo tiranno. E Pasquali, in tutto questo? Di lui cosa rimaneva, all'inizio della mia ricerca? Molto poco, e quel poco era stato strappato in brandelli minuscoli e affidato al vento più irrequieto. E io, il Martucci, dovevo fiutare quel vento per arrivare a mettere insieme i pezzi. Una data qui, un dettaglio li, forse una foto, magari il flano di un suo film. "La sacra Bibbia", per esempio.

Millantato come il film più spettacolare che la cinematografia avesse mai portato alla luce. Elefanti, cammelli, migliaia di comparse, ricostruzioni storiche massicce. Il tutto urlato nel paginone centrale del più importante giornale di cinema italiano dell'epoca. E si sarebbe potuta aggiungere una bella pioggia di aggettivi, tutti quelli che si voleva, visto che quel film... non fu mai realizzato. Vi chiederete il perchè! Se è così, capirete cosa ho provato. Perchè di domande senza risposta, nella vita di Ernesto Maria Pasquali, ne avrei incontrate a stormi. E più indagavo, più rimanevo impigliato nella maglia tesa dei dettagli sfuggenti, stretta da non farmi scappare ma morbida per avvolgermi comodo. In queste storie, sapete, un cacciatore di leggende ci sguazza. Chi l'avrebbe mai detto che tutto questo sarebbe diventato un film?

3. Primi indizi.


Mentre il giradischi suggeriva note blues, il vostro Martucci, cacciatore di leggende, s'apprestava a decidere se quella che aveva sotto il muso rientrava nella categoria citata o meno. Da pessimo giocatore di poker quale ero, non avrei avuto il naso giusto per fiutare un bluff. Eppure l'istinto mi diceva che:
-No, non è un falso. E' vero.
Ma qualche prova mi avrebbe fatto comodo. Prove di chi poteva essere stato Ernesto Maria Pasquali, di cosa davvero rappresentasse quella mancanza di documenti su di lui, e quel suo sorriso beffardo.
Ci voleva qualcuno che ne sapesse più di me. Perciò interpellai un noto storico del cinema muto in cerca di vaghe conferme e nuove tracce. Le indagini preliminari erano dunque iniziate, e quando un plico ricolmo di fotocopie e informazioni approdò finalmente nella mia cassetta delle lettere, tra bollette e pubblicità di supermercati, ebbi finalmente a che fare con un tangibile segno di leggenda. Quell'odore narcotico, tra l'adrenalina e la benzina, tra il viaggio e il sospetto, che quando lo respiri non puoi più far finta di niente.
Gli indizi nel plico dicevano che Pasquali era un tipo brillante, e caustico, quando serviva.
Lo provava inconfutabilmente questo sberleffo pubblicitario ai danni di Arturo Ambrosio, concorrente blasonato, e suo ex maestro.
Suonerebbe semplicemente un'alzare la voce a ragion veduta, e finirebbe lì se non fosse che anche Ernesto Maria Pasquali ebbe l'usanza, di tanto in tanto, di "sbirciare" la produzione concorrente. E lo facevano un pò tutti. Era questo l'indizio che cercavo? La sola cosa che sembrava emergere era che avevo a che fare con un personaggio imprevedibile, ironico e pieno di sfaccettature, e sicuramente diverso dai suoi compassati e baffuti contemporanei. Doveva bastarmi per prendere una decisione? Non ancora. Volevo assaggiare un boccone più saporito prima di capire se era questa la leggenda che cercavo.

2. L'epitaffio ribelle.


"Da qualche parte bisognerà pur cominciare" mi dissi, ed eccomi triste e curvo sui libri specifici di storia del cinema muto, solo e ramingo negli angoli delle videoteche dove non batteva mai il sole. Sbadigliavo al solo pensiero di sorbirmi noiosi drammoni in costume, o comiche che non fanno più ridere, con l'immancabile solfa d'accompagnamento suonata meccanicamante da un pianista frustrato, all'epoca assediato da un pubblico di bifolchi, semianalfabeti, e ragazzini vocianti. Speravo di chiudere il capitolo "tesi" nel più breve arco di tempo. "Dacci dentro Andrea, e poi potrai finalmente scrivere il tuo libro intervista a Godard" come Truffaut fece con Hitchcock.
Tutto sembrava presagirlo, anche il silenzio di Godard nei miei confronti (è una persona scrupolosa- mi dicevo - starà sicuramente riordinando le idee in attesa di venire intervistato dal qui presente A.M.), quando inaspettatamente venne fuori lui. Sbucato fuori dalla polvere della storia, con uno sguardo brillante, istrionico, e...se non avessi creduto di esagerare...l'avrei definito di sfida. Ma di sfida a chi? Non certo a me, che dovevoIl compilare una nota biografica, mica affrontare un duello.
"Ernesto Maria Pasquali, produttore cinematografico, nato nel 1883, morto nel 1919". Un piccolo appunto, che sembrava pretendere un approfondimento che non gli stavo concedendo. Come l'avrei messa con quello sguardo fiero, sicuro di se, incurante del fatto che rappresentasse ormai poco più di un epitaffio scolorito? Rimasi senza risposta. L'indifferenza, per quella volta, l'ultima forse, ebbe la meglio: voltare pagina, scrivere, sottolineare, e sbadigliare. Il mio lavoro proseguì, e non potei non pensare che presto un relatore avrebbe potuto fregarsi le mani prima di appropriarsi di un lavoro altrui. Il mio.